Oggi è il 19 marzo. Tra poco più di un’ora ti sentirò al telefono, come ogni sera. Ti dirò: Auguri!
Forse mi chiederai perché o forse qualcuno te lo ha ricordato e allora mi dirai: ah, è solo una festa commerciale, oggi è l’onomastico di mamma, è la sua festa. Come mi hai sempre detto, fin da bambina, quando ti mettevo sulla scrivania un disegno o l’ennesima cravatta… perché non mi osavo a metterla fra le tue mani. Avevo timore di potermi commuovere. E davanti a te non mi potevo commuovere. Non era previsto nel nostro linguaggio. Non sarebbe mai stato previsto. E non lo sarebbe mai stato con nessuno uomo che avrei incontrato poi nella mia vita, che incontrerò ancora nella mia vita. Forse perché non l’ho imparato con te.
Sì lo so, babbo, che è la festa di mamma. A mamma ho portato i fiori. Ma tutti oggi festeggiano la festa del loro papà. E anch’io voglio farlo. Perché per me non dev’essere importante?
No, non te l’ho mai detto. Non era previsto nel nostro linguaggio. Mi limitavo a: Sì, certo.
E mi sentivo tremendamente sciocca.
Le cravatte oggi non le metti quasi più. La tua collezione l’hai regalata a mio figlio. Oggi voglio regalarti un ricordo, mille ricordi. Tutti quelli che si confondono nella tua memoria. E cancello i colori più scuri, li sostituisco con i colori di maggio. Oggi si può fare, papà.
Auguri!