L’appartenenza è un bisogno fondamentale dell’essere umano: nella piramide dei bisogni, viene subito dopo il bisogno di cibo, sonno e sicurezza.
È quel senso di inclusione, la percezione del proprio valore personale in un determinato contesto, che contribuisce a costruire la nostra identità. Ci sentiamo appartenenti quando percepiamo di essere accettati come membri, quando le nostre differenze sono riconosciute e tollerate, quando ci sentiamo connessi con gli altri.
La prima esperienza di appartenenza ad un gruppo la sperimentiamo nella famiglia in cui nasciamo. Mio padre e mia madre mi hanno trasmesso un profondo sentimento di appartenenza.
Negli anni ’60-’70 abbiamo avvertito il bisogno di mettere in discussione, combattere certi schemi ripetitivi, spesso troppo rigidi, che portavano anche a stravolgere il significato di certi valori. L’appartenenza spesso è stata confusa con il possesso dell’altro, come una gabbia da cui non poter uscire.
La storia ci insegna che rivoluzioni portano con sé anche eccessi opposti. Lo abbiamo visto nei rapporti di coppia, nel senso di famiglia. Da un rapporto che era indissolubile, qualsiasi cosa accadesse – diventando a volte una vera e propria gabbia – siamo andati alla ricerca costante di quella passione impulsiva che caratterizza i primi momenti di un rapporto di coppia e non contempla alcuna responsabilità reciproca, alcuna resilienza. Rapporti destinati a non durare nel tempo, a non farci sentire parte di niente e nessuno, distruggendo anche la nostra identità.
L’appartenenza è qualcosa di molto differente dal possesso; è sentire l’altro dentro di sé, sentirsi parte dell’altro.
Quando nel 2008 mia madre è deceduta, per tutti noi, e tutti quelli che hanno conosciuto i miei genitori, è stato impressionante notare come mio padre avesse assunto gesti, modi di dire, abitudini che erano prerogativa di mia madre e non erano mai stati suoi. Non ha mai perso il proprio essere: è stato come se nel suo corpo continuassero a vivere sia lui che lei.
Mio padre e mia madre si appartenevano l’un l’altro, nemmeno la morte ha cancellato questo.
Nel periodo dell’adolescenza hai bisogno di prendere le distanze dall’appartenenza al primordiale gruppo famigliare. Ti serve per affermare la tua identità, la tua personalità. Sperimenti il senso di appartenenza in altri ambiti, gruppi: a scuola la tua classe, il gruppo di amici, la squadra sportiva, i colleghi di lavoro, la famiglia che crei tu…
Lo sviluppo del senso di appartenenza avviene con l’identificazione: accettiamo e condividiamo i valori e la cultura del gruppo nel quale viviamo e questo ci porta ad avvertire una similarità e un senso del noi.
Ci identifichiamo con i modelli, i valori, gli obiettivi comuni, i comportamenti, le norme, gli interessi comuni. Ci sentiamo vicini agli altri.
Il senso di appartenenza è spesso collegato alla sensazione di conforto e piacere di non essere soli e al sollievo nel sapere che anche altre persone vivono situazioni simili alle nostre.
Non è sufficiente, però, far parte di un gruppo per sentirsi appartenenti ad esso. È necessario il nostro coinvolgimento attivo, l’interazione con gli altri, la connessione con gli altri. È necessario sentirci accettati con le nostre unicità, le nostre diversità, accettare la diversità altrui. Sentirci liberi, liberi di andare, sperimentare, liberi di volare, portando dentro di noi parte dell’altro, coscienti di essere parte dell’altro.
Ali per volare ma radici a cui tornare.
Perdiamo il senso di appartenenza quando non sappiamo più, non possiamo più, dire NOI.