L’arte, in ogni sua forma, ha sempre raccontato la solitudine dell’uomo: musica, pittura, letteratura, teatro… L’arte e la psicologia vanno da sempre a braccetto.
Trovarsi dinanzi alle opere di Michelangelo, Van Gogh, Hopper ed altri artisti non è diverso dal passeggiare per le vie delle nostre città, osservando gli sguardi. La capacità degli occhi di raccontare storie è risaputa: storie che vivono nella solitudine interiore.
Io vengo da un altro mondo, da un altro quartiere, da un’altra solitudine.
Oggi come oggi, mi creo delle scorciatoie. Io non sono più dei vostri. [Leo Ferré]
I soli sono individui strani
con il gusto di sentirsi soli fuori dagli schemi
non si sa bene cosa sono, forse ribelli, forse disertori.
Nella follia di oggi i soli sono i nuovi pionieri. [Giorgio Gaber]
Molti pittori hanno toccato il tema della solitudine. Van Gogh vive la solitudine come una malattia che lo porta all’isolamento forzato fino alla pazzia. Non vuole esser solo, vuole omologarsi al genere umano. Per contrastarla scrive infinite lettere al fratello Theo. Poco prima di morire, ultimata l’opera più rappresentativa di questa sua lotta, “Campo di grano“, in una lettera al fratello, scrive:
Sono immense distese di grano sotto cieli nuvolosi e non mi sento assolutamente imbarazzato nel tentare d’esprimere tristezza ed estrema solitudine.
Caspar David Friedrich nel dipinto “Il viandante sul mare di nebbia” racconta l’uomo solo con se stesso di fronte all’infinito e alla natura.
Edward Hopper era il pittore della solitudine e dell’attesa perenne. Una solitudine che seduce, ma palpabile e, in fin dei conti, indissolubile. Nelle sue opere si nasconde un universo psicologico; il tempo non passa mai, sembra essersi fermato in una perenne attesa in cui i volti femminili attendono con pazienza. Donne che forse pensavano alle loro aspettative deluse, ai sogni disattesi, alle persone che si erano lasciate alle spalle.