– E tu che ci fai qui a quest’ora?
– Non c’è che dire. Bell’accoglienza! È bello sentirsi così desiderati… Piuttosto cos’è tutto questo caos?
Ho le chiavi ancora in mano, nella sinistra una pesante borsa… e il fiato corto. Gli anni che aumentano proporzionalmente ai chili che si aggiungono mi hanno regalato una severa OSAS. È la diagnosi che ho avuto in regalo dopo un anno di esami e 600 euro di ticket pagati. Alla faccia della sanità pubblica!
Col tacco destro chiudo la porta di casa e un brivido mi percorre la schiena. Sto rincoglionendo più velocemente del previsto: ho solo 55 anni. Con chi cacchio parlo?
La forza dell’abitudine – mi rispondo per rincuorarmi. Ma quale abitudine, se la casa è vuota da oltre tredici anni, al mio ritorno a casa. Non che ci stia male, anzi… io sto bene con me stessa. Dopo aver cresciuto 3 figli, nelle stanze vuote, a volte, le voci sono assordanti. Allora metto su un po’ di musica o accendo il televisore per riportare un po’ di silenzio… e parlo da sola.
– E tu che ci fai qui a quest’ora? Entrando in casa ho sentito una voce e visto una luce accesa. Forse è la lampada d’emergenza: quando è molto carica, il neon emette una fioca luce, anche se l’interruttore è off.
Non è solo la voce. L’orologio a cucù segna le 18:30; si apre la porticina di legno sopra le lancette e l’uccellino salta fuori e… cucù. Una volta sola per segnare la mezz’ora.
Ne sono certa: è stato lui a parlare. Non solo. Tutte le posate sono tornate nel primo cassetto della cucina. Mi affaccio alla porta del soggiorno e le poltrone, di fronte al divano, si rimettono al loro posto, ai due rispettivi lati. Le cornici sparse per terra si alzano in volo e si riappendono sui muri dell’entrata. È stato un flash, solo l’attimo di un flash.
Questa non è una favola e non sono nemmeno sbronza ché al bar ho bevuto solo un crodino con la Giuliana. Non rientro mai prima delle 20:00 e certo loro non m’aspettavano per le 18:30.
Anche gli oggetti hanno un’anima, ricordava Bertolt Brecht. In Oriente lo sanno da sempre: gli spiriti degli oggetti si chiamano Tsukumogamie, secondo la credenza giapponese; esistono per ogni oggetto che abbia compiuto almeno cento anni. Lo spirito assume poi caratteristiche diverse in base al modo in cui gli oggetti vengono curati, afferrati, donati, conservati, gettati.
Ed io lo so da sempre: la mia casa ha un’anima. Custodisce tutti i giorni vissuti, tutte le voci ascoltate. Ogni lampada, divano, mobiletto per farne parte, ha ascoltato dagli altri oggetti tutti i giorni passati ed oggi è a sua volta custode di ricordi.
Forse è per questo che non riesco a trasferirmi.
È il nostro notarli che mette gli oggetti in una stanza, la nostra abitudine che li toglie di nuovo e libera spazi per noi.
Marcel Proust