Cosa vedevano i tuoi occhi da dietro quella tenda?
Dove volavano i tuoi pensieri appesi a quella finestra?
Ricordi, sogni, speranze, paure, progetti, resoconti?
Chi o cosa aspettava il tuo cuore mentre attendevi il nostro ritorno?
Eri stanca o felice?
Hai mai pensato tu, anche solo per un momento, di mollare tutto e andar via?
Rosso… verde… giallo… passo qui davanti anche quattro o cinque volte al giorno da sempre. Torno ora dal Centro Ufficio: sul sedile posteriore i due raccoglitori appena acquistati; da qualche giorno sto riordinando i documenti in ufficio. Mancano pochi minuti alle 19; devo passare a spegnere computer, stampante e luci prima di andare a casa.
Sarà stata un’ombra, forse qualcuno ha mosso la tenda… per un attimo mi è parso di vederti.
Il motore della Citroen si è fermato insieme al mio cuore. Poi i ricordi si sono impossessati del presente ed ho ripreso a respirare.
14 anni da compiere, sono le 18.30, in sella alla mia 50 Special bianca percorro a manetta corso Brunelleschi. Sto ideando nei minimi particolari l’ennesimo rocambolesco imprevisto per giustificare mezz’ora oltre il coprifuoco. L’importante è convincersi da soli che sia veramente successo per essere credibili nel raccontare clamorose palle. Così non si rischiano contraddizioni alle domande trabocchetto.
Mi sento un po’ stronza a tradire la vostra fiducia, ma siete tu e babbo a costringermi. Non capisco la ragione per cui Sandro e Roberto hanno la più totale libertà di orari ed io devo rientrare quando la vita qua fuori ancora mi aspetta.
Loro sono maschi ed io femmina, con l’aggravante d’essere la figlia minore. So badare a me stessa forse anche meglio di loro. Vi ho mai creato casini, io? Non sapete neppure dove vado dalle 15 alle 18, non sapreste neppure dove cercarmi, se non tornassi. E allora che senso ha?
So che ti limiteresti alla solita raccomandazione: Maria, non farmi stare in pena! Mi prometteresti di non riferirlo a babbo per questa sera. E se anche poi babbo lo sapesse? Mi chiamerebbe in camera sua e dovrei sorbirmi un quarto d’ora di rimproveri a cui rispondere con il mio pentimento. Solo una volta mi ha dato una sberla e non è stata la faccia a bruciare, ma il fatto che lo avesse fatto senza neppure chiedermi il perché.
È la tua espressione di cucciolo ferito che mi spinge a inventarmi dalle più banali deviazioni per lavori stradali, chilometri spingendo lo scooter senza miscela, la compagna distratta mentre l’aiuto per il compito di matematica… alla più terrificante rapina alla gioielleria con sparatoria in cui stavo per finire coinvolta. Fingete con voi stessi di crederci ai miei frequenti imprevisti come antidoto all’ansia che non sapreste controllare; evitate di approfondire e controllarmi. Siamo una generazione difficile per voi cresciuti quando i figli non osavano mettere in discussione le regole imposte dai genitori. A volte, però, preferirei punizioni severe al posto di questa vostra espressione ferita, delusa, indifesa. Dovrei essere io ad incazzarmi, sentirmi vittima. Faccio appello alla mia fantasia per proteggervi, ma a volte mi pesa come ricatto morale.
Sono qui, allo stesso incrocio di ora, diretta al garage in via Fidia come stasera. E ti vedo incollata a quei vetri come tutte le sere ad attendere il nostro ritorno. Vorrei dirti che qualche volta dovresti mandarci tutti al diavolo, staccarti da quella finestra e uscire, rincasare più tardi di noi e non farci trovare la cena pronta sul tavolo.
Non ho nessuna voglia di rientrare. Và tutto bene là dentro, ma io mi sento in gabbia e dovrò recitare la solita commedia. Non posso certo raccontarti che oggi per la prima volta ho fatto l’amore e non ho provato alcuna paura e neppure mi è sembrata quella favola romantica che mi avete raccontato per anni. Semplicemente è successo così, senza nemmeno progettarlo, in modo naturale e casuale. Non mi sono domandata se era l’uomo che sposerò, non so nemmeno se posso definirlo il mio fidanzato. È capitato, mi è piaciuto e penso che lo farò ancora. Davanti al tuo sguardo però dovrò dimenticarlo per non sentirmi in colpa, per non sentire di aver tradito la tua fiducia.
Verde! Il motore della Citroen riparte. Non so neppure quante volte il semaforo è tornato verde prima di ripartire. L’orologio del cruscotto segna le 19.30. Sono trascorsi 37 anni di vita in questi 200 metri che separano l’incrocio dall’ufficio.
La solitudine è attraversare questo incrocio, alzare gli occhi a quella finestra e non vederti.